Mike Sullivan la leggenda di Muffin Sniper
Una notte come tante a New York, una notte d'inverno
Una notte come tante a New York, una notte d’inverno
– Sì – dice quasi sottovoce. Beve un altro sorso di whisky, perché l’alcol serve per ravvivare la fiamma dei ricordi.
Il bancone di noce ne ha visti tanti di ubriachi: alcuni violenti, altri chiassosi e molti, quasi tutti, malinconici come Sticky. Il barman, un ragazzo con poco più di venti anni sulle spalle, si chiama Rick Louise Mulligan originario di Woodworth, Louisiana: anime poche, alcol a fiumi, pistole pure. Fare il barman era quasi un destino. A Rick piacciono le storie; gli ricordano l’infanzia e i pomeriggi estivi. Il nonno gliele raccontava sotto il porticato di casa mentre fumava la pipa seduto su una sedia a dondolo e lui si sentiva tanto Tom Sawyer, in assoluto il suo preferito. Sticky di storie da raccontare ne ha una quantità inversamente proporzionale ai soldi in tasca; Rick ci passa sopra per il piacere di ascoltare, perché Sticky beve, ma parla tanto, è un talento naturale.
– Di talenti ne ho visti parecchi. Harlem pullulava di fenomeni: una fucina del Diavolo. Alcuni di questi mi hanno fatto fare tanti soldi. Perché era facile corromperli; a quel tempo era facile tutto. – Altro sorso.
– Voglio parlarti di Mike. Mike Sullivan. – sospirò.
– Mi chiederai chi sia Mike Sullivan. Te lo dico subito… ti soddisfo questa mostruosa curiosità. – ride e tossisce. – Un perfetto signor nessuno. Capisci? – Chiama a sé Rick con un gesto della mano come se dovesse rivelargli il più grande dei segreti. – Versamene un altro…- bisbiglia e poi gli fa l’occhiolino. Nel bar sono solo loro due, altrimenti sarebbe impossibile per Rick stare fermo per tutto il tempo ad ascoltare quel vecchio. Rick versa; Sticky beve e continua la storia.
– Mike era un figlio della New York degli anni sessanta, quella povera però, quella disperata: niente Cadillac, niente rock & roll. La fortuna della sua famiglia fu che il padre era un bravo muratore e, a quel tempo, si costruiva per tutta la città come se non ci fosse un domani. Dico fortuna perché altrimenti Mike sarebbe morto di fame. Era dura, amico. Parecchio dura. Il padre di Mike lo costrinse ad abbandonare la scuola quasi subito e lo fece lavorare come manovale che era un poppante. Sveglia alle quattro e dalle sei del mattino alle otto di sera via, in mezzo a calce, mattoni e acciaio. Servivano soldi. Mike crebbe in fretta: a 16 anni era già sposato a 18 aspettava il secondogenito e a 19 veniva piantato dalla moglie che scappò di casa con i figli. Tu fino a ieri che facevi? Bah lascia stare. C’era il Vietnam, amico. C’era la guerra, quella guerra di merda che nessuno voleva eppure era lì. Sarebbe toccato anche a Mike, era inevitabile, ma il destino aveva deciso altro. Mike perse una falange della mano sinistra mentre batteva dei rivettini. Dito indice saltato a metà, quello che lo Zio Sam ti puntava dritto in faccia. Non poteva sparare e fu riformato. Niente grilletto, niente Vietnam. – rise.
– A Mike però non importava della guerra, quello che lo terrorizzava della sua mano monca era il fatto di non poter tirare a canestro. Oh ragazzo è colpa di questo schifo che mi hai messo nel bicchiere. Vedi, mi fa dimenticare le cose importanti. Mike viveva ad Harlem ma era un fottuto bianco. – rise e rotolò giù dallo sgabello del bar rovesciando il bicchiere. Non smise di ridere nemmeno sdraiato sul pavimento. Rick si preoccupò e stava per lasciare la sua postazione per andare a soccorrere il cliente che non aveva né pagato, ma tanto non lo avrebbe fatto, e soprattutto non aveva finito la storia. Sticky però era abituato a ben altro e si rimise in sesto.
– Scusa, scusa, ragazzo. Devi capire che un bianco ad Harlem, a quel tempo, era come avere un ebreo a tavola con Hitler nel giorno del suo compleanno. – rise ancora.
– Mike aveva fatto il Milbank, un asilo popolare, insieme ad altri tre ceffi che sarebbero diventati dei veri e propri criminali. Aveva subito tutti i soprusi possibili, ma invece di reagire con violenza o di subire passivamente, il ragazzo aveva deciso di affrontarli sul loro territorio: il Rucker Park. Hai idea di cosa sia il Rucker, ragazzo? Bah lascia stare. Mike aveva imparato il basket sulla strada, niente palestre, niente scuola. Giocava con qualsiasi canestro con o senza tabellone. Pioggia, vento, sole, neve valeva tutto. Le regole sono nessuna regola: una lotta, praticamente sempre. Lui non aveva il fisico, era grassottello, impacciato e disarmonico. Un vero schifo a vederlo giocare. Una schiappa. – ride e beve.
– Finito pure questo? Sto andando troppo veloce. Amico questo è l’ultimo e mi deve durare fino alla fine della storia. Versa.
– Una vera schiappa ti dico. Se lo guardavi da fuori dice vi “Ehi ma cosa diavolo ci fa uno così al Rucker? Chi lo ha fatto entrare?” Era tutta apparenza. Mike aveva una mano… ah una mano da Sniper amico. E questo diventò il suo soprannome. Mike Muffin Sniper Sullivan. Controllo di palla e tiro di un altro mondo, no, anzi, di altre due mondi. Nessuno era come lui, nessuno. Il talento porta rispetto e il rispetto verso Mike crebbe parecchio ed entrò a far parte dei Milbanks: la più forte squadra che si sia mai vista al Rucker e in tutta Harlem. Erano i suoi vecchi amici di asilo che lo vollero in squadra, per dare spettacolo e per vincere. Ma Mike era un fesso. E io lo so perché ero io che tenevo le scommesse al Rucker. Li conoscevo tutti e sapevo benissimo quando i Milbanks giocavano per divertirsi o per fare soldi. Mi fotterono una sola volta. Maledetti. Ma li ho perdonati perché era bellissimo vederli giocare. – bevve un lungo sorso. – Cazzo mi sono fatto fregare anche stavolta.
Lanciò il bicchiere vuoto per terra, segno che la bevuta era comunque finita. Rick temette che Sticky se ne andasse senza finire la storia.
– Giocavano una partita ad un torneo e tutta la squadra fece puntate sulla loro sconfitta. Si erano messi d’accordo. Tutti tranne Mike. Mike non era capace di giocare per perdere, non era capace di mentire. Essere buoni ad Harlem non è una virtù… non so se poi lo sia da qualche altra parte. – rise.
– Hanno fottuto anche me perché non pensavo minimamente che potessero tradire Mike. Comunque quando Mike perse il dito aveva paura di non essere più lo stesso, ma si sa che la mancanza da forza al resto, acuisce altro per compensare. Muffin Sniper divenne ancora più micidiale. Le altre dita della mano sinistra svilupparono un senso del pallone che non ho mai più visto. Avrebbe potuto palleggiare sulle uova e non romperle e se aveva un solo millimetro tirava da qualsiasi posizione e la metteva dentro, sempre.
Sospirò guardando le bottiglie dietro al bancone. Le desiderava tutte. Strinse i pugni in maniera violenta per resistere alla tentazione di chiederne un altro. Poi tirò fuori un sacchetto di nylon pieno di monetine ed iniziò ad impilare i soldi: una pila per ogni bicchiere bevuto. Rick lo guardava strabiliato.
– Vuoi scommettere se mi ricordo quanti ne ho bevuti amico? Dai…
Rick sorrise e mise due dollari sul bancone. Sticky si mise a ridere e continuò ad impilare monetine fino all’undicesimo mucchietto. Poi si fermò e guardò nel sacchetto soddisfatto.
– Che dici? Ho vinto la scommessa? – chiese beffardo e Rick gli allungò le monete.
– Sei un pivello. I conti li avevo fatti prima. Già sapevo quanto potevo bere. I mucchietti sono a caso ma comunque i soldi bastavano per undici fottuti giri… dovevo inventarmi qualcosa per il dodicesimo. Che non si dica che Stcky non paga. Ho sempre pagato.
Altro bicchiere, altro whisky e altro pezzo di storia.
– Invitarono i Milbanks nel Bronx per sfidarli. Li adescarono ben bene con una posta di diecimila dollari. Quanto ci metti a fare diecimila dollari? Li hai mai visti? I Milbanks potevano farli in un paio di partite. Andai anche io nonostante non fosse la mia zona, andai per vedere come avrebbero vinto, sì in somma per gustarmi uno spettacolo. Conoscevo l’allibratore di quel parco e appena lo vidi capii che c’era qualcosa che non quadrava. Provai a piazzare una scommessa per vedere se ci fosse dietro qualcosa, ma le quote erano giuste. Milbanks a due e quindici; Glovers a tre. Non era quello il motivo pensai. Poi iniziai a vedere la partita. Giocate spettacolari da tutte e due le parti: una partita degna di quel nome. I Glovers erano ragazzi tosti che sapevano il fatto loro. Magari mi sbagliavo, magari non c’era nulla. Dopo una decina di minuti però notai che Mike non segnava mai. Palleggiava, passava ma lui non tirava. Andai dal mio collega e gli chiesi quanto era dato Muffin Sniper sotto i dieci punti. Lui mi rispose che all’inizio lo dava a sei, ma ora era sceso a due e dieci. Eccolo là! Si erano comprati Mike. Non ci potevo credere. Mike non avrebbe mai fatto una cosa simile, non poteva, non era nel suo stile nel suo DNA. Capisci? Quando uno nasce buono ed onesto, l’onestà è parte della sua pelle non si può togliere via facilmente. Inoltre quella di Mike era già bianca: non c’era nulla da lavare via. – Bevve tutto di un fiato.
– Ahhh. – sospirò soddisfatto dopo aver mandato giù. Ora sembrava sveglio ed attento come se non avesse alcol al posto del sangue.
– Mike giocava mettendosi un ciuccio da poppante nel calzino. Era del suo secondogenito. Parte dei sodi vinti li mandava alla moglie e ai figli, per lui teneva solo gli spiccioli, come d’altronde faceva con il suo stipendio da muratore. La famiglia non doveva aver bisogno di nulla. Mike era così. Non se lo erano comprato, nossignore. Giocava con le lacrime agli occhi lo vedevo, lo vedevano tutti. Mike aveva puntato forte questa era la verità. Il figlio piccolo era malato e la moglie dopo averlo piantato ed avergli impedito di vedere i bambini prendendosi sempre i soldi gli aveva chiesto aiuto facendo leva sull’integrità morale, una morale di strada s’intende, ma sempre una morale di quella persona. Mike non aveva altro modo che giocare per salvare suo figlio. Giocare, vincere e fare all-in sul suo talento. Questo aveva fatto. Cinquemila dollari scommessi sul fatto che avrebbe segnato più di cinquanta punti e avrebbe fatto più punti di tutti i giocatori in campo e ovviamente sul fatto che i Millbanks vincessero la partita. Il tutto per una cifra intorno ai novantamila dollari. Capisci almeno questo ragazzo?
Sticky si alzò e si mise il giaccone. Guardò malinconico il suo sacchetto vuoto. – Che cazzo mi invento per domani? – si chiese ridendo e poi si voltò verso l’uscita.
– E quindi? – chiese Rick
– Quindi cosa?
– Mike ce l’ha fatta?
– Ho finito i soldi ragazzo e non posso permettermi il lusso di ricordare.
– Te lo offro io… – fece Rick pur di sapere il finale.
– No! Sei gentile, ma no! – si oppose Sticky in maniera decisa. – Non ti racconto di Mike per farmi offrire da bere, ma perché oggi sarebbe stato il suo compleanno, il compleanno di un bravo ragazzo. Harlem i migliori li manda via, lui invece se lo è tenuto e lo ha inghiottito. Non ha mai chiesto aiuto Mike e non lo chiede neanche ora che non si sa dove sia e se si fa ancora chiamare Muffin Sniper. Mike era così. Ne mise sessantuno in quindici minuti senza pause. Sfido qualsiasi stella del basket passata, presente e futura a fare meglio. Tu che sei giovane, se accadrà una cosa simile, cercami che ti offrirò da bere. I soldi vinti non servirono a nulla, il bambino morì anche se era stato operato in tempo: Dio ha traiettorie tutte sue, amico e tu, uomo, che sei polvere non le puoi capire. È scomparso Mike, da quel giorno è scomparso; forse è morto, forse è solo nascosto, forse è qui dietro che chiede l’elemosina. Questo non lo so, so solo che Muffin Sniper è una leggenda e le leggende non muoiono mai. Buonanotte, ragazzo.